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domenica 17 luglio 2022

Per un nuovo sistema di riferimento politico

È indubbio che stia montando, in strati eterogenei della popolazione, una certa insofferenza per l’attuale classe politica al potere.

Dopo due anni di emergenza sanitaria e nella prospettiva di un prossimo peggioramento in termini di contagi, ricoveri e decessi per il virus, mentre una guerra regionale, trasformata ad hoc in mondiale, ha fermato la flebile ripresa economica, innescando anzi processi recessivi e quando un’estate tra le più calde degli ultimi decenni provoca crisi idriche ed emergenze agricole, il tutto generando un potenziale disequilibrio sociale, è ovvio che molte persone inizino a pensare che chi ha l’onere di governare le questioni sia inadeguato, nonostante l’appellativo di “migliore” o le incensazioni della maggioranza dei media.

Al momento si palesa anche una crisi dell’attuale governo, alla quale però credo poco poiché la compagine governativa gode di una larghissima maggioranza, anche se venissero a mancare i voti di chi una volta rappresentava il partito di maggioranza relativa, ma che per cambi di casacca e scissioni, non lo è più.

Questa crisi potrebbe anche sfociare con elezioni politiche, da molti evocate e da tutti non temute, almeno a parole; elezioni che potrebbero premiare una parte politica che sin dalla nascita dell’attuale governo si è dichiarata oppositiva, ma ben disposta verso provvedimenti che avrebbe ritenuto condivisibili, come effettivamente è avvenuto, nonché prossima ad entrare in consessi internazionali non propriamente contrari all’assetto mondiale vigente e che comunque, per vincere, dovrà allearsi con altre componenti al momento favorevoli al governo. Ne consegue che sia pure con molte sfaccettature e parecchi distinguo, l’attuale classe politica, nel suo insieme, fa parte integrante del medesimo blocco, che ha condotto la Nazione ad un passo da baratro, ammesso che non stia già precipitando in quest’orrido.

Da più parti si sollecita una presa di posizione effettivamente contraria all’attuale governo, facendo leva su persone e parti politiche che in ogni caso hanno condiviso, nell’immediato o nel recente passato, responsabilità di governo e si evoca una “sinistra” da tempo assente.

Auspicare che l’alternativa all’attuale governo sia una “sinistra” rinnovata o restaurata come quella che fu, credo sia un errore definitivo.

Partendo dal presupposto che “destra” e “sinistra” sono convenzioni ormai superate dalla storia, che risalgono alle prime assemblee dopo la Rivoluzione francese, quindi oltre duecentotrenta anni fa, poiché in queste adunanze sedevano a destra i conservatori e a sinistra i riformisti e che ormai non esiste più questa differenza poiché determinate situazioni devono essere conservate mentre altre devono essere nel contempo riformate, in un ipotetico sistema di riferimento cartesiano applicato alla politica, la differenza non è più tra ordinate, ovvero rette verticali, poste a destra o a sinistra rispetto al punto di origine, ma tra ascisse, rette orizzontali al di sopra o al di sotto del punto di origine.

Sistema di riferimento cartesiano (Immagine tratta da Internet)


La differenza, che deve essere sostanziale e non di dettaglio, è tra chi voglia mantenere l’attuale sistema, economico più che politico, e chi invece anela ad una società organica dove finalmente la politica, nell’accezione più nobile del termine, ovvero l’arte del governo, torni ad essere subordinante rispetto a tutto il resto, in primis l’economia.

Auspicare la rinascita di una “sinistra” attenta ai bisogni dell’uomo, rispettosa dell’ambiente, equivalente alla giustizia sociale, significa cadere nella trappola di una contrapposizione solo formale, ma mai sostanziale all’ordine mondiale costituito, così come ambire ad una “destra” sociale e popolare è pura chimera, in quanto entrambe sono le facce di una medesima moneta, peraltro falsa.

Qualora questi strati della popolazione che mostrano disagio, insofferenza e irrequietezza nei confronti del potere politico così come oggi espresso dagli attuali partiti e dai loro dirigenti, si lasciassero ingabbiare nelle citate categorie, nulla si potrà ottenere e avrà vinto ancora una volta il "tiranno".

Ma se queste risorse si emanciperanno dagli schemi consueti e non avranno timore di essere definite populiste, sovraniste, gerarchiche, corporative, complottiste, irresponsabili, visionarie, utopiche, regressive, e chi più ne ha, più ne metta, secondo una semantica denigratoria coniata da chi il potere lo esercita coartando l’intera Nazione, possono esserci speranze.

Nell’attuale panorama politico italiano non vedo nessuno che corrisponda a queste caratteristiche. Forse qualche formazione minore che da poco si è affacciata nell’agorà, ma la cui genuinità è tutta da verificare.

Chi votare, allora?

Personalmente non sono più disposto a votare “turandomi il naso”.  Il meno peggio fa parte, comunque, della categoria del pessimo.

Mi arrogo anche il diritto di non esercitare il mio diritto-dovere.

Al momento, infatti, non andrei a votare, non perché penso che di fronte ad un elevato tasso di astensione del voto (se saranno confermati i dati delle ultime consultazioni amministrative, per le quali si è recato al voto solo il 55% circa degli aventi diritto, considerando pure che le elezioni amministrative sono da sempre le più seguite dai cittadini, poiché si tratta di eleggere il rappresentante dello Stato più prossimo, che ti fa funzionare l’illuminazione pubblica o che ti ritira la spazzatura), ci sarà sempre il partito politico di maggioranza relativa che dichiarerà di aver vinto, magari con un 30% dei voti a fronte di un 40% di votanti, il che significherebbe che l’effettivo consenso sugli aventi diritto al voto è del solo 12%: altro che maggioranza!

Non penso nemmeno che una elevata astensione al voto provochi qualche riflessione e parecchie autocritiche nell’attuale classe politica, così arrogante e autoreferenziale. Hanno la faccia come il lato “B”, tanto per intenderci.

Ma spero che in questa auspicabile vasta platea di persone che non andranno a votare, cominci a sorgere la necessità di cercare uomini e donne, magari tra i pochi intellettuali non allineati o nel mondo della cultura non conformista, attorno ai quali catalizzare la vera voglia di cambiamento.

Con un nuovo sistema di riferimento politico, ovviamente.

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