È indubbio che stia montando, in
strati eterogenei della popolazione, una certa insofferenza per l’attuale
classe politica al potere.
Dopo due anni di emergenza
sanitaria e nella prospettiva di un prossimo peggioramento in termini di
contagi, ricoveri e decessi per il virus, mentre una guerra regionale,
trasformata ad hoc in mondiale, ha fermato la flebile ripresa economica, innescando
anzi processi recessivi e quando un’estate tra le più calde degli ultimi
decenni provoca crisi idriche ed emergenze agricole, il tutto generando un
potenziale disequilibrio sociale, è ovvio che molte persone inizino a pensare
che chi ha l’onere di governare le questioni sia inadeguato, nonostante
l’appellativo di “migliore” o le incensazioni della maggioranza dei media.
Al momento si palesa anche una crisi dell’attuale governo, alla quale però credo poco poiché la compagine governativa gode di una larghissima maggioranza, anche se venissero a mancare i voti di chi una volta rappresentava il partito di maggioranza relativa, ma che per cambi di casacca e scissioni, non lo è più.
Questa crisi potrebbe anche
sfociare con elezioni politiche, da molti evocate e da tutti non temute, almeno
a parole; elezioni che potrebbero premiare una parte politica che sin dalla
nascita dell’attuale governo si è dichiarata oppositiva, ma ben disposta verso
provvedimenti che avrebbe ritenuto condivisibili, come effettivamente è avvenuto,
nonché prossima ad entrare in consessi internazionali non propriamente contrari
all’assetto mondiale vigente e che comunque, per vincere, dovrà allearsi con
altre componenti al momento favorevoli al governo. Ne consegue che sia pure con
molte sfaccettature e parecchi distinguo, l’attuale classe politica, nel suo
insieme, fa parte integrante del medesimo blocco, che ha condotto la Nazione ad
un passo da baratro, ammesso che non stia già precipitando in quest’orrido.
Da più parti si sollecita una
presa di posizione effettivamente contraria all’attuale governo, facendo leva
su persone e parti politiche che in ogni caso hanno condiviso, nell’immediato o
nel recente passato, responsabilità di governo e si evoca una “sinistra” da
tempo assente.
Auspicare che l’alternativa
all’attuale governo sia una “sinistra” rinnovata o restaurata come quella che
fu, credo sia un errore definitivo.
Partendo dal presupposto che
“destra” e “sinistra” sono convenzioni ormai superate dalla storia, che
risalgono alle prime assemblee dopo la Rivoluzione francese, quindi oltre
duecentotrenta anni fa, poiché in queste adunanze sedevano a destra i
conservatori e a sinistra i riformisti e che ormai non esiste più questa
differenza poiché determinate situazioni devono essere conservate mentre altre
devono essere nel contempo riformate, in un ipotetico sistema di riferimento
cartesiano applicato alla politica, la differenza non è più tra ordinate,
ovvero rette verticali, poste a destra o a sinistra rispetto al punto di
origine, ma tra ascisse, rette orizzontali al di sopra o al di sotto del punto
di origine.
Sistema di riferimento cartesiano (Immagine tratta da Internet) |
La differenza, che deve essere
sostanziale e non di dettaglio, è tra chi voglia mantenere l’attuale sistema,
economico più che politico, e chi invece anela ad una società organica dove finalmente
la politica, nell’accezione più nobile del termine, ovvero l’arte del governo,
torni ad essere subordinante rispetto a tutto il resto, in primis l’economia.
Auspicare la rinascita di una
“sinistra” attenta ai bisogni dell’uomo, rispettosa dell’ambiente, equivalente
alla giustizia sociale, significa cadere nella trappola di una contrapposizione
solo formale, ma mai sostanziale all’ordine mondiale costituito, così come
ambire ad una “destra” sociale e popolare è pura chimera, in quanto entrambe
sono le facce di una medesima moneta, peraltro falsa.
Qualora questi strati della
popolazione che mostrano disagio, insofferenza e irrequietezza nei confronti
del potere politico così come oggi espresso dagli attuali partiti e dai loro
dirigenti, si lasciassero ingabbiare nelle citate categorie, nulla si potrà
ottenere e avrà vinto ancora una volta il "tiranno".
Ma se queste risorse si
emanciperanno dagli schemi consueti e non avranno timore di essere definite
populiste, sovraniste, gerarchiche, corporative, complottiste, irresponsabili,
visionarie, utopiche, regressive, e chi più ne ha, più ne metta, secondo una
semantica denigratoria coniata da chi il potere lo esercita coartando l’intera
Nazione, possono esserci speranze.
Nell’attuale panorama politico
italiano non vedo nessuno che corrisponda a queste caratteristiche. Forse
qualche formazione minore che da poco si è affacciata nell’agorà, ma la cui
genuinità è tutta da verificare.
Chi votare, allora?
Personalmente non sono più
disposto a votare “turandomi il naso”. Il meno peggio fa parte, comunque, della
categoria del pessimo.
Mi arrogo anche il diritto di non
esercitare il mio diritto-dovere.
Al momento, infatti, non andrei a
votare, non perché penso che di fronte ad un elevato tasso di astensione del
voto (se saranno confermati i dati delle ultime consultazioni amministrative,
per le quali si è recato al voto solo il 55% circa degli aventi diritto,
considerando pure che le elezioni amministrative sono da sempre le più seguite
dai cittadini, poiché si tratta di eleggere il rappresentante dello Stato più
prossimo, che ti fa funzionare l’illuminazione pubblica o che ti ritira la
spazzatura), ci sarà sempre il partito politico di maggioranza relativa che
dichiarerà di aver vinto, magari con un 30% dei voti a fronte di un 40% di
votanti, il che significherebbe che l’effettivo consenso sugli aventi diritto
al voto è del solo 12%: altro che maggioranza!
Non penso nemmeno che una elevata
astensione al voto provochi qualche riflessione e parecchie autocritiche
nell’attuale classe politica, così arrogante e autoreferenziale. Hanno la
faccia come il lato “B”, tanto per intenderci.
Ma spero che in questa
auspicabile vasta platea di persone che non andranno a votare, cominci a
sorgere la necessità di cercare uomini e donne, magari tra i pochi intellettuali non
allineati o nel mondo della cultura non conformista, attorno ai quali catalizzare
la vera voglia di cambiamento.
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