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Come un naufrago, inserirò in una bottiglia, ovvero questo Blog, i miei messaggi
che affiderò al vasto mare del WEB, affinchè qualche navigatore li possa
scorgere tra i flutti, così da leggerne il contenuto e scoprire la mia passione
letteraria.

giovedì 17 marzo 2011

Centocinquanta


All’inizio del mese di marzo, passeggiavo nel centro storico di Barletta con il mio carissimo amico Mariano, aspettando l’ora per andare a cena in un tipico ristorante del posto.
Come novelli Peripatetici (Aristotele perdoni l’indebito accostamento), disquisivamo, tra il Castello Svevo e la statua bronzea di Eraclio, su argomenti di vario genere. Tra questi, Mariano mi ha raccontato dei suoi impegni in giro per la Puglia in vista delle manifestazioni per il centocinquantenario dell’unità d’Italia, per il proprio incarico in seno all’Amministrazione militare a cui appartiene.


In merito all’argomento, Mariano ha espresso un dubbio a metà strada tra la domanda e l’affermazione: «Ha ancora senso festeggiare l’unità d’Italia?».

Non sono riuscito a dare una risposta efficace, in quel momento. Poi altri argomenti hanno catalizzato la nostra attenzione e la serata e filata senza accennare al dubbio di Mariano.

Avvicinandosi il 17 marzo, quel dubbio ha ripreso ad attanagliare la mia mente.

Ha ancora senso festeggiare l’unità d’Italia?

Da tempo ho l’impressione, ahimé molto spesso confermata dai fatti, che questo paese sia alla deriva, che stia perdendo posizioni, non solo dal punto di vista economico, ma anche per il peggioramento della qualità della vita e soprattutto per il decadimento culturale.

Risulta a dir poco puerile, indicare la classe politica quale responsabile di questo decadimento.

Anzi, direi che è, per certi versi, sbagliato farlo.

Sono parecchi lustri che la politica non rispecchia più il senso greco classico del termine (πόλις – Polis – Città – inteso come organizzazione, arte, scienza del governo e dell’amministrazione della città ed essendo il sistema greco classico basato sulle città-stato, esteso appunto allo Stato), bensì è diventato lo strumento per fare i propri interessi ed eventualmente quelli delle lobby (termine inglese che potrebbe essere tradotto in “gruppo di pressione” o “gruppo di interesse”, ad indicare un insieme di soggetti determinati ad orientare le scelte politiche di governo a loro favore, specie in campo economico e che riflette il carattere liberista, individualista e mercantile della cultura anglosassone e nordamericana in genere) di cui fanno parte.

La classe politica per intero, senza eccezione alcuna, è solo interessata a curare i propri interessi.

Tuttavia se lo fa è perché noi cittadini glielo abbiamo permesso, perché ci siamo disinteressati della gestione della cosa pubblica (dal latino res publica – quanto deve, la nostra civiltà occidentale, al retaggio greco-romano!), perché anzi ne abbiamo tratto profitto, perché ci siamo rifugiati nel privato, pensando che tanto non cambiava niente, che lor signori avrebbero continuato – come difatti hanno continuato – a fare i loro comodi.

La colpa non è tanto dei politici – della casta – quanto nostra che a quei politici abbiamo lasciato ampia delega.

Abbiamo solo fatto attenzione a difendere il nostro orticello, i piccoli o grandi privilegi che abbiamo nel tempo acquisito, i diritti che reclamiamo, i benefici di cui godiamo, le prebende e le rendite che incassiamo, senza occuparci di chi vive vicino a noi, degli altri, della Comunità, della Nazione, dello Stato.

Che senso ha – allora - festeggiare l’unità d’Italia?

Eppure c’è un senso.

Questo senso non lo possiamo trovare nella politica organizzata negli attuali soggetti che la praticano, non lo troviamo di certo rinchiuso nelle stanze del Grande Fratello televisivo e nemmeno tra le righe delle gazzette sportive.

Forse lo troviamo in un libro di storia.

Un libro che ci racconta di milleottantotto idealisti, al comando di un autentico rivoluzionario, che partirono da Quarto e sbarcarono a Marsala, ripercorrendo la penisola per unire chi da troppo tempo era diviso e per questo deriso.
Che ci racconta di trincee immerse nel fango dove un Popolo in armi, dai dialetti più disparati, si è conosciuto, trovandosi per la prima volta insieme a fronteggiare uno dei più potenti e blasonati imperi d’Europa.
Che ci racconta di un uomo, artefice - nel bene o nel male - di una evoluzione dello Stato, da estensione provinciale di un piccolo regno, a struttura organizzata e capillare di una Nazione.
Che ci racconta di una guerra forse sbagliata, sicuramente inopportuna, decisamente tragica, che ha mandato al macello, con pochi mezzi e scarsi rifornimenti, migliaia di ragazzi, tra le dune infuocate del deserto africano o la bruma delle pianure russe.
Che ci racconta di uomini e donne che hanno lottato aspramente, chi per riacquistare la libertà e la democrazia, chi per restare fedele ad un uomo e ad un ideale, in uno scontro fratricida, senza esclusione di colpi.
Che ci racconta di un referendum istituzionale, prima prova elettorale dopo anni di totalitarismo, che ha sancito la fine di una dinastia, pur essendosi questa prodigata per l’unità d’Italia.
Che ci racconta di cinquecentocinquatasei Costituenti, eletti a suffragio universale nella ritrovata democrazia, intenti ad elaborare quella Carta Costituzionale sulla quale si basano – o si dovrebbero basare – le Leggi della Repubblica.
Che ci racconta di una folta schiera di servitori dello Stato, che hanno sacrificato il bene più prezioso, la vita, per contrastare le mafie, autentico cancro di questo paese.
Che ci racconta di tanti ragazzi che hanno indossato la divisa, spesso per necessità, a volte per ideale, morti in lande lontane, in missioni che si ostinano a chiamarle “di pace”, la cui certezza di opportunità inizia vacillare perfino in coloro che le hanno volute.

Ecco, il senso lo si trova in questi centocinquanta anni di storia.

Occorre conoscere bene le proprie radici e il sacrificio di chi ci ha preceduto, per apprezzare quel che abbiamo e consegnarlo, il più possibile integro, a chi verrà dopo di noi.

Occorre una autentica, sana e incisiva rivoluzione culturale che faccia crescere, emancipare, riscattare il Popolo italiano.

Le difficoltà sono molte, come sono parecchi coloro che remano contro.

È un’avventura.

Un’avventura iniziata centocinquanta anni fa.











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