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Come un naufrago, inserirò in una bottiglia, ovvero questo Blog, i miei messaggi
che affiderò al vasto mare del WEB, affinchè qualche navigatore li possa
scorgere tra i flutti, così da leggerne il contenuto e scoprire la mia passione
letteraria.

martedì 4 dicembre 2012

"La pancia del potere" di Gabriele Sola

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Quale parte del corpo può ben rappresentare il potere?


Secondo Gabriele Sola è la pancia. Infatti ha intitolato “La pancia del potere” la sua prima opera teatrale. L’Autore ha avuto modo di conoscere bene questo potere addominale, sedendosi per due anni nei banchi del Consiglio Regionale lombardo, tra le fila dell’Italia dei Valori, in opposizione al governo Formigoni.
Di questa sua esperienza politica, Gabriele Sola ha voluto far partecipi noi comuni cittadini, sempre fuori dei palazzi – quelli del potere appunto – attraverso una pièce teatrale, rappresentata ieri sera con successo presso l’Auditorium di Piazza Libertà a Bergamo.

L’atto unico vede il protagonista, interpretato dall’ottimo Corrado Accordino, nella figura di un parlamentare della Repubblica, schernire una moltitudine di persone che, attraverso immagini proiettate sullo schermo, manifestano la volontà di ritornare fautori del proprio destino, presentandosi davanti ai palazzi del potere. Egli sciorina ciò che è il potere, quale sia la sua forza di persuasione e lo paragona ad un drago dalle tante teste, di cui la Politica ne rappresenta un arto, capace di ammaliare le persone fino a renderle mansuete, fino a dominarle.

In una prima pausa del monologo, lo stesso Autore, come in un ipotetico notiziario televisivo, legge colorite notizie sulla falsariga delle classiche note politiche nazionali, infarcite però di personaggi reali del mondo della televisione, elevati al rango di direttori di telegiornali e sottosegretari ministeriali o clamorosamente inventati, dai nomi assai roboanti, che da luoghi coincidenti con noti programmi televisivi, esercitano quel potere che si può riconoscere nella sua declinazione berlusconiana.

Il monologo riprende con il protagonista che racconta la sua carriera di politico di media importanza, dal provvidenziale quanto drammatico incontro con l’Onorevole - sì, proprio con la O tanto maiuscola – che lo rende avvezzo al mestiere del politicante, lo istruisce per bene: «La gente comune ha bisogno di essere rassicurata. Tu ci devi parlare, ma senza abbandonare il piedistallo su cui le ti ha issato! Non scenderci mai per non apparire inadeguato, per non farti scrutare da vicino: scoverebbero qualche imperfezione, e un po’ di rughe che ti renderebbe troppo simile a loro» fino ad offrirgli la sua pancia affinché il protetto potesse accovacciarvisi sotto.

Ormai il protagonista è cellula di quelle membra che formano il “Dragosauro” del potere.

Una seconda pausa vede ancora l’Autore interpretare il primo discorso pubblico, da eletto nell’Istituzione, del protagonista. Dapprima a terra, poi su una prima pedana ed infine su un piedistallo ancora più in alto – a dimostrazione di aver seguito i consigli del suo mentore – egli declama un ampolloso turbine di frasi, inframmezzate da locuzioni latine, tanto erudite quanto vuote, lanciando platealmente di tanto in tanto i foglietti degli appunti, come a significare la poca importanza che rivestono queste parole, pronunciate al solo scopo di affascinare il popolo.

Ma il popolo è in mobilitazione, cresce la consapevolezza di riprendersi in mano il proprio futuro, di partecipare. E le immagini proiettate lo mostrano.

Una ragazza, interpretata dalla figlia dell’autore, canta “La libertà” di Giorgio Gaber: «Vorrei essere libero. Libero come un uomo… la libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione».

Riprende il monologo e il protagonista s’interroga sul perché questa voglia di partecipazione prescinda dalla violenza.

Violenza che è invece intrinseca nel “Dragosauro” del potere, manifestata attraverso la coercizione, la suggestione, la lussuria e che travolge tutto, al punto che il protagonista confessa di aver, ad un certo punto, odiato chi lo aveva elevato a cotanto rango. Fino a descrivere, con minuziosità, la squallida scena della caduta del suo protettore, impietosa rappresentazione della consunzione del potere, con il potente di turno visibile tanto da vicino, da scorgerne le molteplici imperfezioni.

Le immagini mostrano che il popolo, davanti ai palazzi del potere, è stato invitato ad entrarci, ma ha preferito che fossero gli inquilini di questi palazzi ad uscire e a mescolarsi tra la gente.

La ragazza torna a cantare, canta “Imagine” di John Lennon.

Il protagonista scoppia in una fragorosa risata.

Si tratta della disperata presa di coscienza della propria fine, o il protagonista celebra con essa l’ennesima vittoria del “Dragosauro” del potere sul popolo?

L’autore, spiegandolo ai propri figli e al pubblico presente, auspica la prima ipotesi, così come lo auspica chi scrive.

Un plauso a Gabriele Sola per questa mirabile opera, prima e magari foriera di ulteriori successi in campo artistico e... politico!




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